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Da comitato tecnico a rete di competenze

Da tempo, il semplice possesso di conoscenze specialistiche non è più sufficiente. In qualità di azienda in crescita, anche noi ci confrontiamo con questioni legate al trasferimento di conoscenze e quindi alla garanzia della qualità. Con Ulla Hartmann, Jens Schmidt, Andreas Münzmay e Christian Hengemühl abbiamo parlato di un’importante trasformazione interna, che richiede tanto coraggio quanta curiosità: quali strutture sono necessarie per garantire la qualità a lungo termine e quali invece andrebbero smantellate?

Dalle conoscenze specialistiche isolate alle competenze connesse

Un tempo la conoscenza veniva considerata una grandezza fissa: una somma di informazioni raccolte, archiviate e controllate che servono così a garantire la qualità. Anche da noi nel 2012 si è costituito un comitato tecnico responsabile della definizione e del rispetto di standard e regolamenti. Ma se le conoscenze si evolvono sempre più velocemente, non è più sufficiente che siano limitate in capo a poche persone. Insieme alla crescita aziendale e a una gamma di servizi sempre più ampia, è emerso chiaramente che abbiamo bisogno di una nuova struttura, in modo che l’attuale comitato tecnico possa svolgere il suo ruolo centrale in materia di conoscenza e qualità in una nuova forma.

La trasformazione dal comitato tecnico in una rete di competenze evidenzia quindi ciò a cui si pensava da tempo: collaborare in reti come luoghi dinamici in cui persone con gli stessi obiettivi e prospettive diverse si relazionano attivamente, condividono le proprie competenze e crescono. «Devo ammettere che all’inizio ho avuto bisogno di un po’ di tempo per svincolarmi dal comitato tecnico e capire l’idea della rete di competenze», aggiunge Jens Schmidt, tecnico di processo e ambientale con focus sulla costruzione di impianti e dal 2012 membro e forza trainante del comitato tecnico. Oggi constata che questa trasformazione è stata un passo logico e necessario. «Non da ultimo, perché in altri settori di TBF abbiamo già compiuto questo passo da tempo: il comitato tecnico ha seguito, per così dire, gli sviluppi».

La qualità diventa una questione culturale

Grazie al senso condiviso di responsabilità e all’intenso confronto, l’ampia partecipazione alla rete consente un nuovo accesso alla qualità. La qualità diventa un prodotto dinamico della negoziazione di aspettative ed esigenze. Questo dinamismo si riflette soprattutto nella crescente complessità dei progetti: «I nostri progetti sono pezzi unici, non produciamo gambe per sedie», aggiunge Christian Hengemühl, ingegnere edile specializzato in edilizia sotterranea. Siamo anche consapevoli della grande responsabilità che abbiamo nei nostri progetti. La sfida consiste quindi non solo nell’accrescere le conoscenze specialistiche, ma anche nel connetterle tra loro e renderle accessibili come risorsa al di là dei confini del team e del progetto, continua Christian. In questo modo la conoscenza si trasforma in competenza. Questa nuova comprensione richiede inoltre di abbandonare il concetto di qualità come qualcosa di stabile e misurabile. A dire il vero, a volte ci risulta ancora difficile perché questa idea ci dà sicurezza.

In questo processo, la comunicazione diventa un fattore chiave: noi tutti commettiamo errori, abbiamo domande o avvertiamo incertezze e tutto questo rappresenta il carburante dell’organizzazione che apprende e delle persone coinvolte. La qualità ha quindi molto a che fare con la nostra cultura della collaborazione:riusciamo a condividere i nostri errori, a imparare gli uni dagli altri e a migliorare insieme?A tal fine sono necessarie fiducia reciproca e disponibilità all’autoriflessione. La qualità diventa quindi un obiettivo e un atteggiamento comuni­tario e dinamico. «Vivendo la qualità come atteggiamento, creiamo un clima di lavoro che favorisce lo scambio multilaterale», aggiunge Jens.

Un esempio: la rete delle pompe di calore

Questo ci riporta a Ulla e alle pompe di calore. Dal momento che queste rivestono un ruolo centrale in un numero sempre maggiore di progetti, è nata l’idea di creare una propria rete. Ulla, co-fondatrice della rete, descrive così il processo: «Si trovano persone con competenze e interessi specifici nel settore, si condividono le responsabilità e si strutturano i sottotemi. In questo modo, le conoscenze diventano accessibili e comprensibili a tutti». Una rete di questo tipo è molto più di una semplice fonte di conoscenza: promuove la collaborazione e lo scambio di buone pratiche, consentendo a tutte le parti interessate di imparare le une dalle altre.

Queste reti specialistiche nascono continuamente e possono anche sciogliersi quando non sono più rilevanti. Il team di coordinamento della rete di competenze, di cui fanno parte anche Christian e Jens, si occupa «solo» della formazione delle reti su temi rilevanti, le accompagna nella costituzione, riunisce le discussioni per evitare doppioni e fornisce supporto nella comunicazione. E allo stesso tempo garantisce che i «temi permanenti», come gli strumenti di calcolo e le norme, siano gestiti in modo efficiente e sicuro. Le singole reti specialistiche diventano così una vera e propria community of practice. Le attività stesse non sono quindi più gestite da un organo centrale: una netta differenza rispetto al passato.

«Le reti auto-organizzate creano un dinamismo impressionante.»

Andreas Münzmay

Andreas Münzmay, ingegnere di processo specializzato nel recupero termico dal trattamento dei rifiuti e forza trainante del comitato tecnico dal 2017, descrive la situazione come segue: «Ciò che mi entusiasma è il dinamismo che si sviluppa nelle reti auto-organizzate. Ogni persona è chiamata in causa con le proprie competenze. Nessuno deve più attendere che il comitato si occupi di un nuovo tema, individui le basi, sistematizzi, standardizzi e approvi...».

Va ricordato che non tutti gli specialisti sono di per sé organizzatori o networker nati. Come ausilio è stata creata una rete di coordinamento. Oltre ai «vecchi» membri del comitato tecnico, essa comprende anche professionisti della comunicazione e della collaborazione. Andreas commenta: «Essendo un “veterano”, sono molto felice e riconoscente proprio per il loro sostegno. Il loro lavoro mi evidenzia quanto a volte si possa essere bloccati seguendo la propria routine e quanto possa essere prezioso assumere un altro punto di vista».

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